Benvenuti

Ph. Pietro Vertamy. Deposito abbandonato sulla strada Tiberna per Fiano Romano

Roma, 02 Ottobre 2020
20ª Tappa Oltre Tevere, Labaro-Isola Tiberina, 22 km

 

Giacomo spunta dalla baracca di cartone con la naturalezza di chi gioca in casa.
Giovane, trent’anni, al massimo. Occhi verdi che si perdono nella carnagione olivastra. Sguardo fiero da principe berbero che gli arriva chissà da dove. Da quale battaglia andata, da quale linea di sangue immeticciata.
Tutto il resto è evidente quotidianità di migrazione est europea. Di marginalità e sopravvivenza ai bordi. Sul bordo, in questo caso. O meglio, di vita praticata con il metodo dettato dalla buffer zone di povertà che circonda a ciambella ogni metropoli.  

Cinta muraria riuscita a maglie larghe. Vorrebbe proteggere ma è  vocata ad essere di scambio. Con la postilla scritta in piccolo al fondo che ne ricorda la iniquità , e che fotte.
Il centro città è impermeabile alle pance borbottanti per il cibo, il riconoscimento, i diritti minimi dell’essere umano.
Si lascia giusto annusare il culo, ma poi ognuno tornasse al posto suo.

— Benvenuti — ci dice Giacomo.
Fa un gesto largo con il braccio, verso il Tevere. Sembra il concierge di un Ritz post apocalittico, a  tutto rottame, fili per stendere e fornelli improvvisati.
Abbiamo abbandonato l’alto della ciclabile cittadina per scendere sull’argine del fiume e vedere se è praticabile a piedi. L’isola Tiberina ormai a una manciata di chilometri.
Le scale ripide,  già di loro hanno del dantesco.
Sconsigliano il viandante, disincentivano ogni forma di contatto fra un mondo di sopra e quello di sotto un’isobara immaginaria che li riduce al minimo necessario, frutto di evoluzione naturale, non sociale. 

Agostino si presenta e chiede informazioni. Si fa guidare lì intorno, curioso come un gatto. Deformazione professionale, da scienziato. Entomologo, amico di Oltre Tevere, per due tappe con la truppa in cammino. Chiacchiera facile su argomenti avvincenti per tutti. Ottimo camminatore.
Gli interessa il Tevere. Gli interessa l’argine sotto ogni punto di vista. Gli interessa chi lo vive. A qualunque specie appartenga.

Perché a ben vedere i più titolati abitanti del Tevere – come nota Giuseppe – sono gli homeless.
Gli unici che ne devono intendere per davvero gli umori.
Saperlo leggere e interpretare cambiandone l’aspetto di continuo per assecondarne la vera natura mutevole e libertaria. Tutt’altro che durevole.
Antiarchitetti di spazi vuoti in corsa per il riempimento compulsivo.  Onorano tradizioni seminomadi, non roba per sedentari, trasversali ad ogni origine o etnia. Accomunati dal recupero spurio di materiali e dalla fantasia nel riutilizzo.
Senza lauree da appendere, perche senza pareti.
Odorano molto più d’arte che di urbanistica senza manco saperlo.
Riecheggiano Constant, Pinot Gallizio e la New Babylon. Il “campo nomade planetario”. 1956.

Ed invece eccoci qui. Con davanti cinquecento metri da Ponte Milvio che scavano l’abisso. Fossato invisibile solo per chi sceglie l’opzione della cecità temporanea.
Tutto intorno, una rete di sentierini  si perdono nel nulla. Portano a innumerevoli toilette non censite.
Sotto l’enorme arcata  del ponte, la vegetazione spontanea trasforma la penombra di Corso Francia in un’enorme stomaco bovino, rumine d jungla tropicale.
Segni di vita, passaggio umano, mutazione inconscia per quanto volontaria del paesaggio.
Grotta sciamanica.  Luogo sacro che non cede il passo. Ora ci è evidente. Ma stratigrafia di  immondizia per archeologi futuri. Ghiotta land art sulle spalle ignare di poveracci e reietti.
È solo questione di tempo, perchè qualche curatore se ne accorga e ridiscenda la scalinata fino qui. Abbassi il naso invece di puntarlo verso l’alto dei blasonati luoghi deputati all’arte pulita.

Questo penso, mentre saluto Giacomo in maniera troppo sbrigativa.
La tirannia dell’orologio antitetica del viaggio a piedi ci perseguita anche oggi. Siamo in Roma e ci aspettano per l’arrivo. Per quelli che una volta sarebbero stati degli abbracci commossi.

Giacomo molto prosaicamente, pare più interessato a Tumpi e Arno che abbaiano impazziti E schiumano per ogni gatto che passa lì intorno
– Sono troppi – dice – bisognerebbe fare un po’ di pulizia –
Credo si potrebbe parlare di competizione fra specie.
Vorrei chiederlo ad Agostino ma temo di essere frainteso. cinico e bastardo.
E poi in realtà, la risposta potrebbe angosciarmi troppo.