| Ma che Ucraina e Ucraina! |

Campagnano di Roma, domenica 22 giugno 2014
II tappa: La Storta-Campagnano, 25 km

 

 

Ho letto da poco, non ricordo dove, che la più famosa azienda di fastfood (si, quella
che come testimonial utilizza un pazzo psicopatico truccato da Pennywise) ha
brevettano il profumo (odore) dei suoi ristoranti. Non so se sia una boiata o
meno. Potrebbe essere una leggenda come quella del rombo dei motori delle
Harley Davidson, brevettato anche questo (ma sarà vero o no? Per dio, ma dove
leggo sta roba? E soprattutto perché occupo RAM per questo?) ma fatto sta che,
ovunque nel mondo, se un ristorante del noto marchio che ha come logo due
enormi mammelle, si trova nel l’arco di un miglio nautico, di sicuro il
richiamo odoroso, non tarderà a investire i passanti, inconfondibile come una
sgasata di diesel di un vecchio Transit. Identico ad ogni latitudine e
longitudine. Per quel che mi riguarda,non so come ci riescano e sconfiniamo nel
campo della magia.

Ma qui a quaranta km da Roma, tutt’altro. Non polemizzo sul meglio o peggio, mi
interessa soltanto la questione evocativa degli odori e dei suoni. Va bene, lo
so, via con Marcel Proust e le petite madleine. Italia, Italia. Italia di
paese, di sedie appoggiate ai muri all’ombra, da nord a sud, di due vecchi, un
ragazzo e un cane a forma di salsiccia, di panni stesi nel vicolo, di panda 4×4
verdi, di targhe a sconosciuti eroi caduti, a insigni professori. A senatori
del regno. Pure. E in questa casa Garibaldi, sostò. Ha sostato ovunque tranne
che da me, pare. E croccantini per gatti in vaschette d’alluminio mefitiche.
Odore di estati interminabili a passare dal bar alla piazza dalla gelateria al
fiume dal monumento al calcio balilla. Al campetto di cemento che se cadi di
ginocchia sei fottuto.

Un profumo che fuso al sottofondo di suoni di voci,radio,televisioni,
cristallizza una pace e una perfezione rassicuranti, sospende il tempo da far
drizzare i peli sulle braccia, in un’unica, eterna, inesorabile domenica
pomeriggio buona da essere respirata a pieni polmoni, cambiando ritmo.

Anche non volendo ascolto le chiacchiere uscire dalle finestre, dietro le
zanzariere dove si muove un mondo, e mi faccio investire da cotolette fritte e
svampe di gelsomino. Aglio soffritto e acacia fiorita. Ragù, melanzane alla
parmigiana, cipolla rosolata, in perenne competizione con ammorbidenti scadenti
alla violetta. Penso ai telegenici chef, eroi nazionalpopolari, e vorrei averne
uno qui, adesso, per spiegarmi il segreto di questa meravigliosa perfezione
odorosa tutta madeinItaly in alternanza, in cadenza, visto che oramai sono
titolati per dissertare su tutto lo scibile umano, dall’astrofisica alla
finanza.

Sento del marocchino, distinguo del rumeno, questo é bangladesh, lui é
ciociaro, sicuro. Ecco, il villaggio globale é servito.

Mangio il gelato più cattivo della mia vita e una voce mi distoglie dai miei
pensieri. “Posso sedere io qui?” Ma certo, ci mancherebbe.
“Ooooh grazzie.” Mangia avida il suo gelato come fosse l’ultimo.
Attacco bottone che mi pare simpatica, bionda e rotondetta.

“Ah, ma lei é rumena?”

“Ma che rumena! Zono dell’Ucraina” e bravo Pè.

“A ecco, ma ha perso del tutto l’accento” Azzardo e lei sta al gioco.
Ridacchia: “Zono venticinque anni che io vive qui, faccio pulizie in
cooperativa”

“ e come si vive qui, si trova bene?”

“ zi zi a me basta poco, sempre lavorato duro, bene così”

“ siete tanti dell’Ucraina a Campagnano?”

“Sempre di meno, noi ce ne andiamo. Lavoro qui problema. Uno su due non
c’è lavoro. Aziende italiane aprono in Ucraina e noi si torna là”

Vent’anni di crisi e flussi migratori spiegati in sei secondi appiccicosi di
gusto torroncino. Rifletto.

“ …anche con la guerra? A est dico…”

“ Io nata vicino Kiev, li tranquillo al momento”

“ …ma lei é ucraina si? Non si sente russa?”

“Siamo tutti ucraini! Sta cosa dei russi é palla detta da Putin”

“….”

“Putin é un fascista, visto si?”

Ed ecco spiegato in quattro secondi il ritorno allo zarismo, a cent’anni di
distanza e al gusto marron glacé.

A pensarci non avrei saputo spiegarlo meglio.

La mia amica dice ad alta voce quello che la comunità internazionale non vuole
dire e di cui parla bisbigliando. Vox populi, Europa in primis.

Se ne va sciabattando, seguendo un’amica dalla permanente di differente colore,
mi saluta distratta sorridendo e leccando il gelato che cola due gocce sul
marciapiede.