| Righeira docet |

Bagno Vignoni, mercoledì 02 Luglio 2014
X tappa: Radicofani – S.Quirico d’Orcia, 33 km

Ma lei che lo amava,
aspettava il ritorno
di un soldato vivo,
di un eroe morto
che ne farà?

Fabrizio de Andrè –  “La ballata dell’eroe”

Bagno Vignoni é una visione. Oasi nel deserto.
Mi manca poco per San Quirico, su quella che é una delle tappe più belle in
programma, ma decisamente tosta, assolata, in sali-scendi fra colline dorate
per più di 30 km.
Se poi si fa come me, e ci si perde in una valle scoscesa dopo trecento metri
dalla partenza, i km diventano 40 in un amen. Tanto tanto belle ste colline
toscane, ma anche basta, please.
Ai piedi del piccolo borgo, stazione termale nota già in epoca etrusca, l’acqua
cade a cascatelle in una pozza d’acqua celeste opaco. Che trovo vuota. Mi tuffo
praticamente vestito. Ora si ragiona e, dopo un’ora, posso curiosare i quattro
vicoli del borgo sfilacciati intorno la piazza centrale che, meraviglia delle
meraviglie, é un’enorme piscina di acqua sorgiva bollente.
Le facciate cinquecentesche ci si riflettono, come pure le piante di capperi
arrampicate ovunque. Silenziosa e garbata. Un paradiso insomma.
Come un paradiso é il barrino, altra oasi. Anche se di tutt’altro tipo. Uno
stanzone con ballatoio dalle pareti verde malva ricoperte di cornici e
bottiglie. Luce finestra radente e accogliente. Una scelta fuori dal comune di
gin e rum. I gastroprotettori nel mio zaino cominciano a tremare.
Le ragazze al banco se la ridono con la complicità di due vecchie amiche anche
se non smettono nemmeno per un secondo di correre di qua e di là. Fuori dentro,
dentro fuori. Il pc suona Faking the books dei Lali Puna che é un ottimo spunto
per attaccare bottone. “Germana, Sara”. “Pietro”. Ecco
fatto. Fra dischi da ascoltare assolutamente e film che devo per forza vedere,
in un attimo, é come se fossi cresciuto qui. Una ha un sorriso di quelli che ti
fanno arrossire, l’altra, occhi di un blu difficile da sostenere e così mi
ritrovo con lo sguardo a terra per tre quarti del tempo. Adolescente impacciato
che sono. Finiscono con il presentarmi il resto della cricca di habitué e sono
già al quarto vermentino ghiacciato e traditore.
Luciano invece lo conosco verso sera. Io sullo sgabello, lui in piedi, mi fa il
terzo grado senza grossi complimenti o giri di parole. Rispondo asciutto, senza
dar corda. Immagino si aspetti una cosa così. “Questo é un collega”
penso, e infatti, quasi. Operatore, montatore e videomaker di Roma,
appassionato e preparato. Dopo l’annusata iniziale ci andiamo a genio, ridiamo
un sacco e parliamo di lavoro ed é lui che, con la media in mano, darà il
sonoro colpo di grazia ai miei già traballanti propositi: “Un applauso a
Pietro che si ferma qui stanotte!” Applauso e brindisi.
Ma si, ma si, non sono certo una roccaforte di virtù. Certo che mi fermo! e
domani mi godrò un altro bagno guardandomi Castiglione d’Orcia all’alba fra
rondinelle e ghiandaie, che quando mi ricapita. E poi recupererò i km mancanti
il giorno dopo. Non ho mai amato i noiosi, i fanatici e gli ortodossi in
generale, figuriamoci se mi ci metto io nel camminare.
Ci lasciamo con il tacito accordo di ribeccarci il giorno dopo.
Al tavolino lui beve una birra, io acqua liscia e Maloox, grazie.
Mi interessa la sua storia e sapere perché é qui. Ieri sera mi ha parlato di
Balcani, e adesso?
Ora é responsabile di una locanda incantevole a due passi da li, dove mi invita
per cenare la sera. “E il giornalismo, il video e tutto il resto?”
chiedo. Mille vicissitudini come sempre in questo mestiere, l’hanno fatto
approdare qui, in primis una bella borsata di attrezzatura rubata durante un
servizio e da dover ricomprare. Mila e mila euro. “Ho già ricomprato
quattro ottiche” mi dice.
Un passato come montatore, un po’ di tempo per un grosso canale Tv, poi lavori
freelance, poi il giro di commissionati per le ambasciate, soprattutto in Serbia
dove collabora con la compagna e dove insieme a un giornalista crea un sito di
focus proprio sui Balcani, dove decide di spendere tempo ed energie alla
ricerca di storie da raccontare per provare poi a venderle. Cioè: prodursele di
tasca propria e poi -se va bene- venderle e avere un rientro.
Si, la storia mi é familiare. Tanto talento e tanta passione. E un lavoro
qualunque se ti dice male e, per esempio, ti fottono una borsa.
E siamo alle solite. Tutele? Zero. Non che nessuno ti debba ricomprare l’attrezzatura,
ma nel senso: se sei con la schiena parata scorrazzi per il mondo per dedicarti
ai tuoi lunghi progetti da premio senza grosse distrazioni. (Lo dico con
invidia eh? Non come polemica e scevro da ogni giudizio di sorta) Ai comuni
mortali, la stragrande maggioranza, tocca un bel 80% in più di lavoro e
inventarsi di tutto per campare, e alzarsi i quattro soldi in tasca da spendere
per realizzare progetti importanti per una committenza che non c’è praticamente
mai, e se c’è, paga la fame, e non garantisce alcun tipo di supporto di nessun
tipo.
E noi, a fare a coltellate fra noi per una commissione di qualunque tipo a
qualunque condizione anche capestro.
E perché lo scrivo? Già. Fra noi le sappiamo queste cose, ma il resto del mondo
lo sa come funziona il mestiere del super reporter coraggioso affascinante e
fico con la sua sciarpetta e la sahariana?
Con le parole ci fregano, come sempre. In questi anni ci hanno fregato con
freelance, che al secolo significa: vai, fatti il mazzo, non fiatare, rischiatela
tanto e di brutto e vedi anche di fare un buon lavoro, senno cor cà che ti do
uno spicciolo. Ah, e vedi di starmi anche simpatico, mi raccomando.
Quando poi uno, malauguratamente, ci tira le cuoia, fiumi di inchiostro a
spiegarci che era spinto da una grande passione, l’amore per la verità, credeva
in quello che faceva e giù altre menate lacrimose. Certo, grazie, questo si.
Non era di certo spinto dai vostri lauti compensi. Questo ci si scorda sempre
di dirlo. Oltre al danno la beffa, insomma. Per non parlare poi della misera
gara sui social per comunicare al mondo quanto lo si conosceva da sempre e
quanto gli si voleva bene. Che pietà.
Questa é la triste realtà, penso.
E quindi in finale, ti fanno venire fuori come eroe romantico caduto sul campo
della guerra per la libertà di stampa, dando per inteso che era il suo LAVORO e
si assumeva i propri rischi. Quasi fosse una consolazione.
Piccolissimo inciso: fin quando uno non vende il pezzo, si rientra nel campo
del volontariato, non del lavoro. Abolita la schiavitù da un paio di secoli, il
termine lavoro, prevede un compenso garantito.
Mentre mando giù il secondo Maloox mi chiedo perché continuiamo ad alimentare
sto giochetto, e la risposta é semplice: perché hanno ragione loro, i giornali
e le tv. E lo sanno. Lo si fa per grande passione. É quello che ti frega. Sei
spinto sempre e comunque al netto di ogni condizione sfavorevole e difficoltà.
Non so più che pensare. L’ unico che mi viene in mente é Andy, ultimo di una
lunga serie, che l’ennesimo conflitto privo di senso, ci ha strappato via in
Ucraina. Penso a lui e penso a suo figlio. Tre anni. Forse non dovrei nemmeno
dirlo con il mestiere che faccio, ma non sono uno di quelli con tante risposte,
anzi al massimo sono pieno di domande e dubbi e quindi spero che crescendo non
gli venga in mente di seguire le orme del padre. Credo sia normale. Subito
dopo, però, mi dico che invece devo ringraziare e che mi devo augurare che
esistano per sempre questi personaggi un po’ romantici, disarmati, curiosi e
sognatori e che certe cose nella vita si fanno perché vanno fatte, perché é
giusto farle. Come ha deciso di farle Andrea, senza pensarci su troppo e tutto
il resto rientra nella categoria chiacchiera da bancone.
Io e Luciano ci salutiamo a lungo. Gli auguro ogni bene. Abbiamo parlato di
mandare tutto in malora e di metterci a fare spot per cantine toscane. Qui
girano un sacco di soldi, pare. La tentazione é forte. Chissà che farà.
Promettiamo di non perderci di vista e di scriverci. Lo farò senza dubbio.
Mi rincammino con l’animo in subbuglio e la testa piena di pensieri. Ho la
sensazione di lasciare un pezzo di casa qui. Ricordo le estati passate, le
conto e metto in fila. Le vacanze estive dalla scuola e i compiti da fare fra
mille lagne. Ricordo il groppo alla gola nel dirsi ci vediamo l’estate prossima
al compagno di avventure conosciuto due settimane prima e diventato
immediatamente il migliore amico al mondo, che mancherà da morire.
L’unica cosa che riesco a fare é cantare L’estate
sta finendo
dei Righeira e un anno se ne va… mentre come un cretino mi
scopro a ridere da solo ai piedi dell’ennesima collina bionda oro.